Le cascate di Tivoli, il gioco e la violenza dell’acqua
Come trasformare l’Orrido in simbolo di bellezza, una minaccia costante in una attrazione paesaggistica:
ecco il segreto di Villa Gregoriana, a Tivoli, villa intesa non come edificio in muratura, ma architettura
naturalistica. Nel giugno 1787, quando il poeta Goethe era di passaggio a Tivoli, parte del corso
dell’Aniene non era stato ancora deviato per scongiurare le piene che, nei secoli, avevano sommerso case
e persone in quelle terre pontificie. La fama europea del luogo era perversamente legata proprio a quelle
acque esuberanti e infauste che si snodavano tra rocce e vegetazione costituendo una vera e propria
scenografia paesaggistica, prototipo romantico della bellezza italiana che i letterati del Grand Tour, e
soprattutto Goethe, andavano cercando nel nostro Paese. «Roma 16 giugno 1787. Miei cari, lasciatemi
dire due parole. Mi sento molto bene, ritrovo sempre più me stesso e imparo a distinguere ciò che è
adatto a me e ciò che mi è estraneo. Sono diligente, assorbo tutto e mi accresco interiormente. In questi
giorni sono stato a Tivoli e lì ho visto uno dei primi giochi della Natura. Con le rovine e con l’intero
complesso della vegetazione, le cascate appartengono a quelle cose la cui conoscenza ci arricchisce nel
profondo». A quella vista scrittori, poeti e pittori (come Jacob-Philippe Hackert che intorno al 1770 più
volte dipinse vedute di Tivoli) si sentivano ispirati, ma la gente del posto doveva invece pensare,
concretamente, a salvare la pelle. A parte Plinio, che nel 150 d.C. menziona un’inondazione, la storia
locale registra altre date funeste: 20 febbraio 1305, piena che si ripete poi anche nel XV secolo sotto il
pontificato di Innocenzo VIII e ancora nel 1589, nel XVIII secolo e nel 1826. […]

Articolo di Francesca Pini, Corriere della Sera Magazine, 14 aprile 2005