L’aveva voluta per sottrarsi alle fatiche della città, Nerone, la sua scenografica villa di Subiaco, per sopire i suoi pensieri tra i silenzi dei Simbruini e vivere l’incanto e la frescura di quei deliziosi laghi (Simbruina stagna: poi scomparsi in una piena del 1305) che da allora ne avevano segnato per sempre il nome (Sublaqueum: sotto il lago).
“Da un’altra direzione l’Aniene , nato dal monte di Trevi, porta al Tevere l’acqua di tre laghi celebri per la loro bellezza, che dettero il nome a Subiaco” (Plinio, Hist. Nat. III, 19)
L’aveva posta in un angolo di selvaggia bellezza ove l’Aniene disegnava una gola stretta e vorticosa d’acque e, a tal uopo, aveva impegnato la schiera dei suoi più fidati architetti con ardite opere di ingegneria idraulica, esemplari tagli di roccia, e magistrali costruzioni di dighe come a piegare la Natura al suo spettacolare gusto architettonico. E qui, tra le solitarie pendici dei Monti Taleo e Frescolano, il successore di Claudio, aveva trovato ragione delle sue ambizioni costruttive (60 d.C.) realizzando un complesso mastodontico e vastissimo ( forse oltre 70 ettari).
“12 miglia sopra a Subiaco, d’uopo è riconoscere il corpo principale di quella villa precisamente dove oggi è la città; e i ruderi che si vedono sotto s. Scolastica, fra’quali pur si ravvisa lo speco di Traiano indicato da Frontino, ch’erano a livello d’uno de’laghi, e quelli che si vedono all’Arcinazzo, potevano esser dipendenze della villa; ma non mai la villa propriamente detta,la quale pel passo sovraindicato di Frontino esisteva ancora, conservando lo stesso nome a’tempi di Traiano, il quale restaurò la via Sublacense Neroniana aperta da Nerone. Dopo qucll’ epoca però non se ne trova menzione ulteriore, e forse fu trascurata da’successivi imperatori,in guisa che nella caduta dell’impero d’occidente il sito era talmente solitario e deserto,che nel 494 venne prescelto da s. Benedetto a ritiro, onde segregarsi affatto dal consorzio degli uomini”. ( G. Moroni, Dizionario di erudizione…, 243)
Ciò tuttavia non aveva impedito che si rivelassero a lui segni nefasti da quella stessa Natura che sembrava domata dai suoi ardimenti architettonici. Tanto che, un fulmine che lo aveva colto sulla mensa, fu immediatamente letto come segno premonitore della sua inequivocabile quanto prossima caduta:
“Le chiacchiere sul suo conto presero più consistenza quando con uguale leggerezza s’era interpretata la caduta d’un fulmine: infatti, mentre Nerone era seduto a tavola presso i laghi Simbruini, in una villa chiamata Subiaco, le vivande furono colpite da un fulmine, che spaccò la mensa: ciò era accaduto ai confini di Tivoli, donde traeva origine il padre di Plauto, sicché erano portati a credere che dalla volontà degli dei questo fosse destinato all’impero, credenza favorita da molti che un’ambizione avida, e molto spesso ingannevole, spinge a corteggiare in anticipo fortune nuove e pericolose”. ( Tacito, Annali, XIV, 22)